Questa è una domanda che in molti si fanno perché riuscire a capire esattamente che cosa accade durante una terapia non è sempre così facile.
Qualcosa però si può dire, perché di fatto non accade nulla di misterioso!
In questo articolo proviamo a spiegare come funziona la talking cure (la cura per mezzo della parola) e che cosa fa uno psicoterapeuta per attivare un cambiamento nel paziente, migliorando la qualità della sua vita.
Quando si parla di psicoterapia nell’immaginario collettivo è ormai automatico pensare un po’ alla caricatura cinematografica di Woody Allen, eternamente in analisi disteso sul lettino del suo psicoanalista.
Quelle immagini sono piene di tragiche e curiose abitudini che l’analista impone agli incontri, al pagamento delle sedute, all’uso del lettino che hanno regalato a tutti noi un’immagine particolarmente innaturale di che cosa accade realmente durante una seduta di psicoterapia.
Quando ho detto al mio psicanalista che cominciavo ad avere tendenze suicide, mi ha replicato che da quel momento dovevo pagarlo in anticipo.
Woody Allen Tweet
Per liberare il campo da qualsiasi tipo di pregiudizio è bene ricordare che in Italia la psicoterapia fa parte degli interventi sanitari essenziali (LEA – Livelli essenziali di assistenza) definiti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (DPCM del 12/01/2017).
Questo significa che la psicoterapia è formalmente riconosciuta come intervento sanitario efficace ed essenziale al benessere e alla salute dell’uomo.
La talking cure, la cura per mezzo della parola è, come diceva più romanticamente Jung: «Un ramo dell’arte di guarire» (Pratica della psicoterapia).
Di fatto però non è sempre facile comprendere esattamente che cosa accade durante una psicoterapia e, soprattutto, come può, in apparenza un semplice dialogo tra due persone produrre un cambiamento positivo nella vita della persona che chiede aiuto.
Ma come funziona davvero una psicoterapia?
Beh, oggi funziona così.
Due persone siedono l’una di fronte all’altra, su due comode poltrone, in una stanza tranquilla.
L’una parla dei propri dolori, delle preoccupazioni, dei problemi che deve affrontare ogni giorno e che cerca di superare come meglio può.
Parla della fatica di andare avanti, della disperazione che l’attraversa senza scampo, senza via d’uscita.
Parla dello sforzo quotidiano che deve fare per riuscire ad affrontare tutti gli impegni della vita: lo studio, il lavoro, la famiglia, le relazioni intime.
L’inspiegabile malessere che accompagna ogni giornata ha dentro di sé una irriducibile difficoltà: nonostante sia piena di impegni, di persone, di risate, non sembra dare sostanza alla propria vita.
Non sa bene da dove viene quella disperazione, quando è nata. Fatto è che la sua vita di oggi non sembra andare avanti, non sembra avere un senso.
La sensazione è quella di voler essere sempre altrove, di sentire che per il proprio benessere bisognerebbe avere una vita diversa.
Eppure qualcosa allo stesso tempo lo porta a sentirsi in difetto, colmo di vergogna o di sensi di colpa che non si riesce nemmeno a dire o a raccontare.
– Le cose non cambieranno mai! Non mi sveglierò mai più di buon umore – sembra dire tra sé.
Nel dialogo interiore quella persona ha la convinzione radicale che quanto vive oggi non potrà mai cambiare.
Ciò che si può fare è sopportare o fare finta che quel dramma non esiste.
L’altra persona ascolta.
Il terapeuta, in silenzio o pronunciando solo poche parole, con grande cura cerca di porsi in ascolto, senza giudizio, per sentire ogni parola, ogni emozione, ogni pensiero.
Prova a cogliere in quel racconto un significato, un legame, un’associazione, un’immagine che possa dare senso al dolore che viene svelato e al modo attraverso cui quel dolore si è determinato.
Tenta di scomporre e poi di mettere insieme i pezzi, disegnando per quanto possibile le linee di quel dolore, della vita che ha di fronte che è come un mondo.
Pone l’attenzione a ciò che abitualmente sfugge, a ciò che sembra non essere comprensibile nell’immediato, a ciò che a prima vista può sembrare irrazionale e senza significato.
Un’immagine, una sensazione, un’intuizione, un’esitazione nelle parole, la qualità della relazione che si crea. L’atmosfera.
Nel fare questo, contemporaneamente il terapeuta registra le variazioni del proprio stato d’animo, del clima emotivo che si genera via via durante l’ascolto, per raccogliere preziose sfumature affettive di ciò che risuona intorno a quella persona e al racconto di quel dolore.
Il terapeuta cerca di ricostruire l’intera struttura emotiva e dei pensieri del paziente.
Cerca di trasportare empaticamente, immaginando, tutta l’esperienza del paziente dentro di sé, tutto il suo mondo.
Con tutti i limiti imposti da questa operazione, il terapeuta cerca di ri-vivere e di partecipare affettivamente all’esperienza di vita del paziente: il modo in cui vive il tempo, lo spazio, il proprio corpo, gli altri, le relazioni, gli oggetti, ecc.
Il paziente prosegue il racconto fino a quando non si esaurisce, fino a quando non si svuota il proprio bagaglio di dolori, finché non si intuisce o ci si accorge che qualcosa dentro ha ceduto le armi.
Ha incominciato un dialogo con l’alterità del proprio dolore.
Questo è il punto in cui tutto comincia.
Da quel momento inizierà a definirsi una relazione ed un legame particolare tra paziente e terapeuta.
Una relazione che nella sua fiducia fondamentale sarà costantemente messa alla prova e costantemente rinnovata per solidificarsi col tempo.
Una fiducia che nasce dalla sensazione da parte del paziente di non sentirsi indagato o giudicato: poiché nessuno sa qual è il modo migliore di vivere!
Una fiducia che si alimenta attraverso l’uso appropriato delle parole, nonché del tono della voce, dello sguardo dei gesti intessuti di gentilezza (questo lo insegna bene Eugenio Borgna nel suo libro L’ascolto gentile).
Proprio per la natura particolare di quella relazione gli incontri si svolgono con una frequenza precisa, spesso sempre uguale, per dettare il ritmo di un ascolto intimo che il paziente rivolge a se stesso per iniziare a prendersi cura di sé.
Avere un appuntamento definito dedicato all’ascolto della tua intimità, col tempo, diventa un esercizio abituale che stimola ad apprendere un modo di dare ascolto ai tuoi pensieri, alle tue emozioni e che, nella normale quotidianità delle giornate, non si riescono a sentire o a considerare in maniera significativa.
Il rispetto della frequenza settimanale degli incontri di terapia sta proprio in questo: dedicare all’esercizio dell’ascolto di sé un momento predefinito per dare valore e sviluppo alla tua personalità.
Questo esercizio inizia proprio da qui: proteggere in maniera sistematica un momento intimo dedicato interamente alla tua interiorità.
Aver cura è togliere via per quanto è possibile il peso della sofferenza, alleggerire l'altro dal gravame di pensieri e di emozioni troppo pesante da sostenere da soli e insieme cercare un ritmo buono per camminare nel tempo.
Luigina Mortari Tweet
In questo senso, l’invito è quello di amplificare ciò che senti dei tuoi vissuti, nel tuo corpo, come vero e proprio movimento di introversione, un ritorno alla propria sensibilità.
Tornare in sé, come si dice nel linguaggio comune, per prendersi cura di sé.
Oltre al piano di realtà di questa affermazione, esiste anche un altro piano più intimo che ha a che fare proprio con l’esercizio dell’ascolto di Sé.
Si potrebbe dire che si tratta proprio di una questione di orecchio!
Come si sente?
Può sembrare una domanda banale a cui siamo abituati a rispondere senza troppo pensare.
Nasconde invece, nella sua semplicità, l’intero campo di azione della cura.
Una delle cose principali che fa la psicoterapia consiste proprio in questo: concentrare e amplificare l’attenzione su ciò che si sente.
Prova ad immaginare, solo per un attimo la scena di un piccolo scambio che ho avuto con un paziente, Giacomo, in un momento particolare di una seduta*:
Come si sente? – chiedo.
Come vuole che mi senta dottore?! Come al solito! – mi risponde Giacomo –
Nessuna novità: come le ho detto le mie giornate sono tutte uguali. Le solite cose, le solite difficoltà di sempre.
Non cambia mai nulla nella mia vita – sottolinea Giacomo con un tono un po’ esasperato.
Come si sta sentendo adesso? – mi permetto di insistere.
Che cosa intende? Proprio in questo preciso momento? – mi chiede un po’ stupito e contrariato.
Sì, esatto. Come si sente adesso! – rispondo.
Ma, non so, normale. Niente di che … depresso, non sento granchè di diverso – mi risponde Giacomo come per cercare di cogliere qualcosa.
Rimane in silenzio per qualche secondo come se stesse cercando di contattare qualcosa che non riesce a capire bene.
Passano alcuni secondi, forse un minuto di pieno silenzio. Attendo. La sensazione è che Giacomo stia cercando di mettere a fuoco qualcosa con grande attenzione.
Non so … ho questa sensazione allo stomaco – prova a dire Giacomo – i miei muscoli dell’addome sono sempre un po’ contratti. Non so se c’entra qualcosa.
Non so nemmeno se ha senso, magari è normale, ma credo sia sempre stato così.
Sa, è come quando un amico per gioco fa finta di darti un pugno allo stomaco e tu contrai i muscoli addominali, istintivamente, per proteggerti dal colpo.
Una cosa simile, credo – mi dice, riflettendo.
Rimane ancora in silenzio per qualche minuto, osservando meglio questa sensazione che descrive.
Da che cosa si sta proteggendo adesso? – con cura, provo a dire.
Non so, da nulla; eppure la sento lo stesso questa contrazione muscolare allo stomaco. Non capisco perché.
Rimane in silenzio ancora per qualche secondo, come se cercasse qualcosa.
Sa dottore, non so bene cosa c’entri, ma mi torna in mente la notte in cui è morto mio padre. Ero molto piccolo, non so … – prova a dire Giacomo – … tutto è accaduto all’improvviso, di notte.
Lì per lì non sono riuscivo bene a capire neppure cosa stesse succedendo. Non sapevo nemmeno cosa fosse la morte.
Mi ricordo solo l’immobilità di mio padre, l’agitazione intorno di mia madre, dei nonni. Le grida disperate di dolore di mia nonna. Nessuno sapeva cosa fare … il panico totale.
Io fermo, immobile, non capivo nulla, non sentivo nulla. Fino a quando poi non sono corso via nella mia camera con la testa sotto il cuscino per non sentire le grida di dolore… – ammette Giacomo.
“Forse è da questo dolore che si sta proteggendo, è questo dolore che sta trattenendo dentro di sé senza potersi esprimere” – penso intimamente tra me, senza dire nulla.
Intanto avverto una profonda disperazione all’interno della stanza, tra noi, che lascio accadere.
Si apre allora, da qui un mondo interno complesso. Fatto di profondi dolori, di paure, di vergogna, di colpa.
Un luogo intimo confuso. Di un dolore indicibile.
Da conoscere allora, da attraversare, per dare significato a ciò che esprime.
Non è soltanto il corpo che esprime un malessere.
C’è una vita intera che è condizionata, senza saperlo, dall’attivarsi automatico di certe modalità apprese davanti ad uno o più eventi della vita.
Poiché se ho paura di non sentirmi all’altezza di poter affrontare gli imprevisti della vita e provo per questo vergogna di me, come sarà il mio rapporto con la vita reale?
In che modo oggi affronterò la costruzione del mio desiderio di vivere una vita soddisfacente?
All’interno di una psicoterapia la sofferenza è di oggi!
Il malessere sicuramente si è costruito col tempo. Ha una sua storia: richiede tempo. Così come richiede tempo la costruzione di un stato di benessere, come dice Karl Jaspers in Genio e follia.
La sofferenza di un paziente che incontro in terapia è una sofferenza attuale.
Si esprime davanti a me, in questo preciso momento, e chiede una cura che si concentri sul presente.
Questo allora, diventa il punto di partenza per un obiettivo di cura attraverso la terapia.
Ma qual è lo scopo allora, della psicoterapia?
Proviamo a rispondere a questa domanda.
Il compito della psicoterapia consiste nel mutare l'atteggiamento cosciente del paziente, non nell'inseguire i suoi ricordi dell'infanzia sommersi.
Carl Gustav Jung Tweet
Lo scopo generale della terapia è quello di fare in modo che tu possa comprendere in che modo i tuoi processi mentali, che si attivano autonomamente senza il tuo controllo, stanno limitando la tua vita e lo sviluppo della tua personalità.
L’aiuto che offre il terapeuta è quello di fare in modo che la tua regolazione affettiva migliori e che tu raggiunga una maggiore soddisfazione e un benessere personale.
Ma come si fa a comprendere qualcosa che non si conosce?
Facciamo un piccolo passo indietro. Solo per capire meglio!
Per farlo dobbiamo affrontare la questione dell’inconscio, o meglio cercare di mettere a fuoco il fatto che esistono tutta una serie di processi psichici che sono fuori dalla nostra consapevolezza.
Prima di sobbalzare dalla sedia fermati un attimo, visto che lo so che il termine inconscio puzza un po’ di sigari fuori moda, pipe fumanti e di psychoanalysis: il profumo creato da Bella Freud (Fashion Designer trisnipote di Sigmund Freud).
A parte gli scherzi, le cose forse si possono chiarire in maniera un po’ più attuale.
Pensiamoci un po’.
Di fatto per buona parte del tempo delle nostre giornate noi tutti siamo agiti da una serie di processi mentali e fisici di cui non abbiamo alcuna consapevolezza.
Questa constatazione ha semplicemente a che fare col fatto che, in parte, il funzionamento della nostra mente, così come ogni altro aspetto del funzionamento del nostro corpo biologico, funziona in automatico.
Questo avviene per semplificare le cose e rendere tutto il sistema più efficiente.
Questi processi che semplificano le cose sono tendenzialmente automatici: più si attivano in maniera rapida, veloce e efficace più questi processi vengono costantemente utilizzati.
La fregatura è che alcuni di questi processi psichici automatici appresi nel corso di continue esperienze che hanno “funzionato bene” possono paradossalmente generare uno stato di malessere interiore.
Facciamo un esempio.
Immaginiamo un bambino che si trova a vivere in un ambiente e con una famiglia aperta e disponibile alle sue richieste.
Che ha una madre e un padre che riescono a contenere le sue emozioni, si preoccupano per lui, si prendono cura di lui e sono presenti qualitativamente e quantitativamente nella sua vita per veicolare adeguatamente i suoi vissuti interiori.
In questo contesto, forse anche ideale, il bambino apprenderà che le emozioni che sente, belle o brutte, si possono esprimere. Sono possibili. Sono legittime.
Questo semplice apprendimento produrrà nel bambino la sensazione generale che le sue emozioni, i suoi pensieri, il suo temperamento, in una parola la sua personalità si può esprimere liberamente, ha diritto di esistenza nel mondo e con gli altri.
Quest’apprendimento, semplificando al massimo, col passare del tempo, riproposto coerentemente per gran parte del tempo, diventerà automatico.
Tutti i processi sperimentati e accolti dal mondo circostante diventeranno automatismi: ad ogni occasione visuta come simile a quella orignale attiverà senza fatica, senza pensarci neppure, in maniera inconscia, la reazione appresa.
Questo creerà costantemente e con sempre nuovi aggiustamenti e perfezionamenti un modo specifico di stare al mondo del tutto particolare e unico.
Purtroppo però non è sempre così che vanno le cose.
Che cosa succede se le emozioni che sento, i miei pensieri, il mio temperamento o la mia stessa personalità non trovano una sufficiente comprensione nel mondo che mi circonda?
Beh, pur di sopravvivere nell’ambiente in cui siamo, pur di garantirci un certo grado di stabilità relazionale con le persone che amiamo, rinunciamo o correggiamo in maniera radicale l’espressione della nostra personalità.
Col tempo, anche queste modalità di rinuncia o di aggiustamento diventano automatiche, perché tutto sommato funzionano.
Garantiscono un equilibrio con l’ambiente in cui siamo e con gli altri che ci sono intorno, anche se pagato a caro prezzo.
Con l’abitudine si apprende che certi vissuti emotivi, certi pensieri, certe parti della personalità non si possono esprimere, a tal punto da auto-convincerci che tutto ciò che si prova è profondamente sbagliato!
In altre parole, l’automatismo che si genera col tempo è che alcuni aspetti della nostra personalità non debbono emergere e svilupparsi.
In alcuni casi, non si è nemmeno in grado di sentire il proprio malessere. Talmente è distante dal nostro vissuto consapevole.
Il malessere deriva allora, da una discrepanza che nel tempo si è venuta lentamente a creare tra l’atteggiamento cosciente e alcuni processi psichici divenuti automatici che si attivano del tutto in maniera inconsapevole.
Efrat Ginot nel suo attualissimo lavoro sulla Neuropsicologia dell’inconscio ha dimostrato come i processi inconsci non sono separati da quelli consci, per cui esiste una relazione e un’influenza reciproca costante.
Per quanto siano inaccessibili i processi inconsci sono impliciti ad ogni manifestazione mentale e comportamentale, così come ad ogni relazione.
Di fatto noi non abbiamo nessuna consapevolezza di come percepiamo gli stimoli interni o ambientali, di come tali stimoli vengono elaborati, categorizzati o interpretati.
Tali processi all’origine sono appresi a partire dalle prime interazioni del bambino con l’ambiente esterno e attraverso le prime relazioni con gli altri, madre e padre in primis.
Attraverso la ripetizione delle interazioni ambientali e familiari, tali processi sono consolidati in maniera strutturale come delle mappe di interazione tra corpo e psiche, tra cervello e mente (la cui distinzione è puramente teorica).
La ripetizione garantisce una maggiore efficacia operativa che mira di fatto ad una spinta conservativa.
Tali processi fuori dal controllo cosciente si attivano automaticamente in maniera ripetitiva ogni volta che per familiarità ci troviamo a vivere una situazione simile a quella originaria.
Questo significa che ogni volta che ci troviamo a rivivere uno stato emotivo anche solo simile a quello appreso attiveremo tutta una serie di risposte e comportamenti automatici senza alcuna attenzione cosciente.
Le idee di Pierre Janet sull’Automatismo psicologico, Sigmund Freud e Joseph Breuer degli inizi del Novecento trovano oggi una conferma da parte della ricerca neuropsicologica.
Una volta che un'abitudine emotiva, cognitiva e comportamentale viene consolidata può essere eseguita in modo più efficace senza la mediazione cosciente.
Efrat Ginot Tweet
Daniel Kahneman, psicologo e premio Nobel per l’economia, nel suo libro Pensieri lenti e veloci, ha illustrato in maniera particolare come la nostra mente funzioni attraverso due sistemi:
Il Sistema 1 farebbe funzionare i nostri pensieri e, quindi, i nostri comportamenti in maniera diretta, immediata e senza la consapevolezza, ossia, in maniera inconscia.
Il Sistema 2 funziona invece, in maniera riflessiva, per cui per analizzare e rispondere in maniera adeguata a una situazione reale ha necessità di tempi più lunghi e un maggiore sforzo.
Questa distinzione ci aiuta a capire ancora di più come certi pensieri e certi comportamenti siano del tutto automatici e ci fanno agire in maniera inconsapevole tutta una serie di azioni, e questo riguarda persino le azioni dolorose.
Durante la psicoterapia allora, il terapeuta cercherà di evidenziare il ruolo che questi processi automatici hanno nella vita del paziente.
Soprattutto cercherà di far emergere in che modo si attivano tali processi automatici dolorosi, in che modo sarà possibile riuscire a riconoscerli prima che si attivino e, soprattutto, che tipo di significato hanno nella vita attuale del paziente: qual è il loro significato.
Tutto questo serve per costruire la possibilità di un cambiamento nella vita del paziente: perché se riesci a comprendere come funziona la tua mente sei anche in grado di fare delle buone scelte per il tuo benessere!
Un cambiamento strutturale, in grado cioè di definire una diminuzione della sofferenza, una trasformazione duratura del modo di percepire se stessi e il proprio atteggiamento cosciente, si può ottenere soltanto a certe condizioni.
L’elemento essenziale è che il cambiamento terapeutico riguarda concretamente il modo in cui, in tempo reale, riesci a riconoscere come consapevolezza riflessiva quelle che sono le tue sensazioni corporee, i tuoi stati emotivi, i pensieri e le tue fantasie.
Sono 3 gli elementi essenziali per un cambiamento psichico:
1. la qualità della relazione terapeutica;
2. il tuo sforzo attivo di dedicare un tempo sufficientemente lungo alla cura;
3. la capacità del terapeuta di regolarsi emotivamente di fronte ai vissuti del paziente.
Quando si verifica un vero e proprio cambiamento psichico?
Beh, di fatto un cambiamento psichico può avvenire grazie alla relazione terapeutica quando si verificano le seguenti condizioni:
# 1. Quando riesci a verbalizzare quelli che sono i tuoi conflitti interiori, le tue fantasie e le tue motivazioni.
Può sembrare una cosa scontata o del tutto semplice e immediata.
Ma riuscire a tradurre in parole o in immagini ciò che sentiamo interiormente, le sfumature del nostro sentito, quali sono i contenuti delle nostre fantasie, le nostre intenzioni, senza censura e senza limitazioni è un’operazione piuttosto complessa.
# 2. Quando, grazie alla regolazione affettiva del terapeuta, apprendi una modalità diversa di affrontare e gestire le tue emozioni.
Il modo stesso di regolare il flusso delle nostre emozioni, sentirle, nominarle, riconoscerle e comprenderne la natura è un traguardo terapeutico fondamentale.
Significa essere in grado di maturare un livello di conoscenza di sé, molto importante e utile soprattutto per conoscere quali sono i meccanismi emotivi di reazione agli eventi.
Conoscerne le dinamiche significa avere il controllo di sé e sulla realtà.
# 3. Quando riesci a dare coerenza di senso tra le emozioni che vivi e i pensieri a esse collegate attraverso il dialogo interiore.
La coerenza tra le emozioni vissute e i pensieri a esse collegate è un altro punto fondamentale di equilibrio psichico.
Questo equilibrio è importantissimo per avere un solido senso di continuità della nostra personalità e godere di una forza psichica strutturale definita e stabile.
# 4. Quando sperimenti nella vita reale l’effetto positivo d’intervenire attivamente, attraverso il dialogo interiore, per riorganizzare i tuoi stati interni di fronte a situazioni difficili.
Questo punto ha a che fare con la concreta possibilità di fare esperienza di come la realtà della tua vita interiore possa modificarsi positivamente quando riesci a decifrare quello che ti accade interiormente e che addirittura puoi intenzionalmente modificare il tuo stato attuale.
# 5. Quando riesci a vivere pienamente tutte le emozioni che senti e i pensieri che elabori, senza evitarli, nella consapevolezza che quelle emozioni non ti distruggeranno.
Il punto forse più importante della terapia sta proprio nella tua capacità di maturare una conoscenza di te stesso, del tuo mondo interno e delle tue qualità, tale da riuscire ad essere attraversato da tutte le emozioni che vivi senza averne timore e senza rimanerne bloccato.
Tutte queste condizioni, anche solo per piccoli istanti, si devono verificare, in tempo reale, durante la terapia, grazie alla stabilità della relazione col terapeuta per essere efficace come apprendimento.
Un apprendimento allora, che per strutturarsi dovrà necessariamente svilupparsi in riflessioni e vissuti emotivi che richiedono inevitabilmente un certo tempo di elaborazione.
E qui arriviamo alla questo del tempo necessario per la cura.
Parliamone un po’.
Perché alcuni promettono di risolvere i miei sintomi in pochi incontri e altri in tempi più lunghi?
La faccenda relativa a quanto tempo richiede una psicoterapia è piuttosto semplice e riguarda direttamente l’obiettivo terapeutico.
Se l’obiettivo è quello di ridurre i sintomi nel più breve tempo possibile esistono terapie cosiddette dell’adattamento che in pochi mesi o pochi incontri promettono di risolvere la questione.
Ma, se l’obiettivo è quello di ridurre i sintomi e allo stesso tempo capire il significato del tuo malessere in un’ottica più ampia che ti aiuti a sviluppare la tua personalità e a dare senso a tutta la tua vita, allora ci vorrà più tempo.
Recentemente numerosi studi hanno confrontato approcci terapeutici a breve termine (per es. la Terapia cognitivo-comportamentale e la Terapia dialettico-comportamentale), con le terapie a lungo termine come quelle psicoanalitiche.
Quello che si è potuto verificare è che rispetto ad un miglioramento dei sintomi i diversi approcci, a breve o a lungo tempo, hanno la medesima efficacia.
La differenza sta nel fatto che i risultati terapeutici per essere duraturi nel tempo necessitano di una psicoterapia più lunga (Levy, Ablon, Kachele, La psicoterapia psicodinamica basata sulla ricerca).
L’efficacia terapeutica che mira a ridurre i sintomi e a garantire un cambiamento strutturale che duri nel tempo richiede almeno 2-3 anni di trattamento (con una frequenza di almeno una volta a settimana).
È impossibile stabile o prevedere esattamente la durata di una terapia poiché ha inevitabilmente a che fare con una complessità di fattori.
Con questo però, possiamo sicuramente affermare che una psicoterapia che mira a sviluppare l’intera personalità del paziente per eliminare i sintomi, necessita inevitabilmente di un tempo di almeno 2-3 anni (posso dire che questa è sicuramente la mia esperienza).
La psicoterapia agisce di fatto per cercare di creare un cambiamento strutturale e duraturo rispetto alla consapevolezza di come i tuoi processi psichici inconsci si attivano in maniera automatica e senza la tua consapevolezza.
Maturando un nuovo modo di riconoscere e gestire, attraverso la riflessione interiore, i tuoi processi psichici automatici, la psicoterapia produrrà un maggiore benessere.
Sarai allora, in grado di riconoscere, capire e controllare adeguatamente buona parte di ciò che ti accade intimamente.
Occorre un certo tempo, questo è indubbio!
Conoscere attentamente come agiscono i tuoi processi psichici produrrà un nuovo apprendimento che trasformerà in meglio il tuo modo esclusivo di affrontare la vita e, dunque, di stare al mondo.
La psicoterapia, è vero, non è uno scherzo!
Ha a che fare con il cambiamento, con la trasformazione del proprio modo di stare al mondo, con la crescita e lo sviluppo della propria personalità.
Questo processo non è facile. Richiede un certo sforzo e una buona dose di perseveranza.
In fondo, a guardarlo bene, si sta parlando di riuscire a raggiungere una consapevolezza nuova, un modo diverso di pensare, sentire, immaginare, ecc.
Un modo diverso da quello che fino ad oggi ha prodotto uno stato di sofferenza.
Tutto questo è vero, non sempre facile. In certi momenti è anche doloroso!
Ma non bisogna avere paura!
Si è in due, tu e il terapeuta. Anche lui è un uomo, con tutti i limiti dell’umano.
Egli ha una certa familiarità ad entrare in contatto e patire certi stati dolorosi o momenti di totale incomprensione, e questo aiuta!
Aiuta ad avere fiducia nel fatto che le cose possono evolversi.
Aiuta a sentire che una qualche forma di possibilità può germinare all’interno di quella relazione così anomala e così intensa.
La psicoterapia è vero, per funzionare adeguatamente richiederà un investimento di tempo, energie e di denaro (se ti stai chiedendo quanto costa una psicoterapia trovi le specifiche nella home page).
Per abbandonare un sintomo, un’abitudine consolidata o per realizzare in maniera decisiva il desiderio di una vita più piena, non bastano semplici parole di conforto o delle prescrizioni comportamentali.
C’è bisogno di qualcosa di molto più complesso.
Qualcosa che scuota l’intera personalità e che ti offra la possibilità di maturare un atteggiamento consapevole nei confronti delle cose della vita adatto al tuo modo di essere.
Non posso liberarmi di qualcosa che ancora non posseggo, o non ho fatto o vissuto. La vera liberazione è possibile solo quando mi sono completamente dedicato a una cosa e ho partecipato ad essa al massimo.
Carl Gustav Jung Tweet
Se quelle condizioni si verificano, sicuramente la qualità della tua vita migliora.
Migliorando le tue capacità di comprendere che cosa ti accade intimamente sarai in grado di scegliere e decidere della tua vita in maniera autonoma secondo i tuoi desideri e le tue impressioni.
In che modo ci si rende conto che la psicoterapia sta funzionando?
Nel mio metodo io dedico i primi 4 incontri alla elaborazione e condivisione di un progetto terapeutico individuale.
Al termine dei 4 incontri, se ci sono le condizioni e le giuste motivazioni si inizia la terapia vera e propria.
Allo stesso modo nel corso del trattamento periodicamente sarai sollecitato a fare una sorta di valutazione di come si sta evolvendo la terapia e che impatto sta avendo all’interno della tua vita.
Valuto io stesso a distanza di circa 6 mesi se si stanno verificando dei mutamenti significativi nella qualità delle tue relazioni, del tuo lavoro o dello studio, della famiglia e nel rapporto con il tuo universo emotivo interno.
Se nel corso di questi periodi di tempo non si verificano dei mutamenti utili per il tuo benessere vuol dire che non si sta considerando qualcosa.
In questo caso, è mio dovere riflettere e intervenire per fare in modo che le cose migliorino.
Se le cose si evolvono accade che il tuo atteggiamento generale, il modo che hai di reagire alle esperienze della tua vita cambia in maniera significativa.
Diventa più flessibile: si produce in te una buona disponibilità al cambiamento in cui nulla è pietrificato senza speranza (Jung, Pratica della psicoterapia).
Modificandosi questo atteggiamento si riduce contemporaneamente il malessere legato al sintomo perché si è potuto capire che quel malessere era il segnale che qualcosa nella crescita della personalità si era bloccato.
Hai restituito significato al suo dolore.
Detta in altri termini: hai colto il fatto che il sintomo era un simbolo!
Che cosa significa che un sintomo è un simbolo?
Nel linguaggio comune diciamo sempre che un oggetto, per esempio, quando ci è molto caro al di là del suo valore reale, ha un valore “simbolico”.
In questo modo, stiamo dicendo che quell’oggetto ha per noi un significato personale del tutto particolare.
Ha un valore specifico, intimo, importante perché gli attribuiamo delle caratteristiche, dei ricordi, delle immagini mentali uniche del tutto speciali.
Questo succede perché, come spiega Deacon, l’uomo si può considerare una specie simbolica (Deacon, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello).
La massima espressione dell’umano è proprio questa sua capacità di simbolizzare, ossia di creare una rappresentazione mentale delle cose dal significato del tutto personale.
Che cosa significa tutto questo?
Significa che i tuoi sintomi e, quindi, il tuo dolore, ha caratteristiche di significato del tutto particolari e uniche, che hanno un senso specifico per te e per il tuo modo specifico di stare al mondo.
O meglio, il tuo modo di essere, compresi i sintomi e il relativo malessere, sono proprio la modalità specifica di adattamento che hai potuto ottenere sino ad oggi.
Una buona terapia allora, ti offrirà la possibilità di comprendere che i tuoi sintomi hanno un senso particolare per te. Sono il risultato della tua particolare disposizione d’animo (atteggiamento) di fronte agli eventi della tua vita e alle tue particolari inclinazioni e desideri.
In questo senso allora, i tuoi sintomi, essendo il risultato di una complessità di dinamiche psichiche apprese nel corso del tempo, possono essere riconosciute, modificate e anche trasformate.
Un senso che all’inizio della terapia non si capisce bene, ma che si può costruire e si può apprendere nel corso della terapia stessa con un po’ di tempo.
Di fatto allora, quello che si conquisterà sarà un atteggiamento nuovo, un nuovo modo di vedere le cose della vita: un vero e proprio atteggiamento simbolico.
L'atteggiamento simbolico è il risultato di una visione della vita che tende ad attribuire a tutto ciò che accade un significato profondo che va oltre la mera realtà.
Carl Gustav Jung Tweet
Sviluppare un atteggiamento simbolico significa tenere in considerazione costantemente che le cose della vita non sono solamente oggettive, ma hanno una sfumatura ed un valore soggettivo importantissimo.
È sulla natura soggettiva delle cose che si esprime la tua particolare personalità.
Il sintomo allora, si potrà considerare come l’espressione di una parte della tua personalità che conosci solo in parte o ancora non conosci bene.
Prendersi cura del tuo sintomo, della tua sofferenza rappresenta un’occasione particolare, un invito specifico a vivere una vita più piena e a sviluppare la propria personalità.
Questo è il mio lavoro, questo è il mio impegno!
Un saluto, a presto.
Michele Accettella
Sono psicoterapeuta abilitato all’esercizio permanente dall’Ordine degli Psicologi del Lazio.
In oltre 15 anni ho accumulato più di 15.000 ore di lavoro in ambito clinico, come psicologo e come psicoterapeuta.
Per diventare analista junghiano, per oltre 5 anni, sono stato anch’io in terapia, poiché per conoscere l’altro è necessaria una conoscenza approfondita di sé.
L’attenzione al lavoro clinico, ancora oggi, viene periodicamente rinnovata negli incontri riservati di supervisione che svolgo presso il “CIPA – Centro Italiano di Psicologia Analitica“: un’associazione che da oltre 50 anni cura la formazione degli psicoterapeuti junghiani in Italia, di cui sono “Membro del Comitato Direttivo Nazionale”.
Sono Psicologo Analista abilitato alla docenza, alle analisi di formazione e alle supervisioni presso la “Scuola di Specializzazione in Psicoterapia” del CIPA riconosciuta dal MUR.
Dal 2021 al 2025 sono eletto Segretario scientifico e Direttore della Scuola di psicoterapia dell’Istituto di Roma del CIPA.
Dal 2019 sono stato iscritto nell’Albo dei docenti esterni di 1° Livello – Area C di Roma Capitale.
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